Recarsi in una struttura ospedaliera e sentirsi bene.
Questo è quello che mi sento di dire, dopo essere stata presso l’Ospedale *** della nostra città; e non è demagogia ma è una sensazione nuova che va a sostituirsi all’ancestrale angoscia che mi assaliva tutte le volte che per me o per qualcuno dei miei cari, dovevo recarmi in ospedale; l’odore tipico del disinfettante misto a quello del cibo che veniva servito, i colori tristi dei reparti, la proverbiale irraggiungibilità dei Primari, che se per caso volevi parlarci per chiedere qualcosa in merito alla tua patologia e al tuo ricovero dovevi attendere “la visita”, Il gruppo di dotti, medici e sapienti che entravano, guardavano la tua cartella clinica e guardandosi tra loro, commentavano con paroloni scientifici incomprensibili, lasciandoti ancora più preoccupato ed inebetito; l’omertà di infermieri superficiali e frettolosi, che al massimo dietro tua insistenza rispondevano laconicamente: “deve parlare con il Dottore…” tutto questo mi metteva una tristezza infinita, uno stato di prostrazione tale da farmi sospirare i giorni in cui stavo bene.
L’assistenza ospedaliera è cambiata, grazie al “Patto per la salute”del Ministero della salute, nuova logica del cambiamento, dalla rete ospedaliera, alla razionalizzazione e all’uso appropriato della risorse, alla diminuzione della ospedalizzazione, di contro aumento delle forme alternative al ricovero ospedaliero, qualità dell’assistenza, sicurezza delle cure, … termini di efficienza e di efficacia. Solo qualche stralcio del regolamento su “standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi….” . Solo freddi e lontanissimi aspetti tecnici, regole che lasciano il tempo che trovano, la realtà è ben diversa, è quello che pensano in tanti magari accingendosi a leggere questo articolo, ma se queste norme vengono osservate e contestualizzate, si traducono in una : “Umanizzazione” una dimensione fatta di una rete scambi interpersonali, capace di saper ascoltare, di dare risposte adeguate ai bisogni di salute. Gli ospedali e tutte le componenti che in essi operano, devono “prendersi in carico “ i bisogni della persona, vista nella sua interezza ed organicità è il passaggio dal “curare al prendersi cura”; la persona è al centro degli interessi di ciascuno (medici,infermieri, strutture) che vede il paziente come una persona umana, non solo scienza e tecnica che potrebbe spersonalizzare il malato, ma una comunicazione fatta sul dialogo,condivisione e la comprensione delle emozioni, dando voce ai sentimenti del paziente.
Un concetto di salute che non si limita ai soli aspetti clinici ma che considera l’uomo nella sua globalità, nel suo essere integrale nelle sue dimensioni affettive, sociali,morali.
Teresa Guarnuccio